Il cambiamento di rotta inizia a farsi sentire con maggiore forza, in Italia. E va in senso contrario rispetto al sostegno verso la comunità LGBTQI+. Un sostegno per lo più simbolico, purtroppo, dato che siamo uno dei pochi paese occidentali che in tema di diritti civili sono fermi, immobili. Da noi non esiste una legge che equipari il matrimonio tra persone dello stesso sesso, cosa che, invece, oggi accade persino in paesi come Cuba e Tunisia. Addirittura la Chiesa di Scozia ha ufficialmente votato per consentire i matrimoni religiosi tra persone dello stesso sesso. In Italia, invece, nulla. Anche le singole iniziative, come quella del sindaco di Milano Beppe Sala che lo scorso anno aveva annunciato che avrebbe riconosciuto i figli nati all'interno di coppie omosessuali inserendo il nome di entrambi i genitori negli atti di nascita, sono state bloccate. E quello contro l'iniziativa meneghina fu il primo provvedimento di Giorgia Meloni e del suo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in materia di diritti civili.
Oggi, nel mese del Pride, alcuni comuni hanno deciso di negare il sostegno alla manifestazione per i diritti LGBTQIA+. Come riporta L’Espresso, il Comune di Pordenone, il Comune di Gorizia e le due università pubbliche della Regione hanno negato il patrocinio al Friuli Venezia Giulia Pride (FVG Pride), programmato per il 10 giugno. Spiega il comitato FVG Pride alla testata: "L’assenza di un patrocinio aumenta il carico economico del FVG Pride ma non lo impedisce. Certo, dovremmo sostenere spese più elevate, in particolare per l’allacciamento alla rete elettrica (per il Pride Village ed eventi collegati, che si svolgeranno nella giornata del 10) e per l’occupazione di suolo pubblico. Un capitolo di spesa non indifferente per un Pride autofinanziato e che non accetta, per scelta, sponsor aziendali". E dai comuni, si è passati alle regioni. Per prima è stata la Regione Lazio, che si è tirata indietro e ha tolto il suo patrocinio al Roma Pride del prossimo 10 giugno. Cambiamento di rotta, dicevamo, che non si sta facendo avanti timidamente: fino all'anno scorso, infatti, la regione guidata dal centrosinistra aveva sostenuto la manifestazione, ora il neo Governatore della Regione Lazio Francesco Rocca ha deciso di ritirare il patrocinio, rimarrà dunque solo quello del comune, come ha ribadito il sindaco Gualtieri su Twitter. Pare che l'oggetto del contendere (almeno quello ufficiale) sia ancora una volta la gestazione per altri ampiamente osteggiata dall'attuale governo. Dopo il Lazio, anche la Lombardia ha votato compatto per il no al patrocinio alla manifestazione del prossimo 24 giugno.
A differenza dello scorso anno, quando grazie ad una mozione del Movimento Cinque stelle per la prima volta nella storia del Pride, la fascia "verde" della Lombardia sfilò al corteo annuale organizzato dalla galassia delle organizzazioni in difesa dei diritti Lgbtq+, questa volta, il centrodestra ha fatto marcia indietro. E lo ha fatto con 43 no di Fratelli d'Italia, Lega Forza Italia, mentre non hanno partecipato al voto Manfredi Palmeri e Martina Sassoli di Lombardia Migliore, che durante il dibattito ha dichiarato ironicamente: "Faccio coming out, non sono mai stata al Pride". Dopo il voto, amaro il commento del leader dei Sentinelli Luca Paladini, che si è sfogato sui social e ha dichiarato: "E' stato un dibattito umiliante. Se avessi investito cinque euro per ogni frase fatta e stereotipi usati durante la discussione, in questo momento sarei ricco. Blasfemi, carnevalata, manifestazione divisiva. La saga del 'io non sono omofobo, ma'. Ho chiesto scusa a tutte le persone discriminate in base al proprio orientamento sessuale e di identità di genere. Chiedo scusa a nome di una maggiorana che ha trasformato un'aula istituzionale in un bar dello sport. Ignorante e triviale". Severo anche il commento di Paola Bocci del Pd. "La destra alla fine fa la destra, anche se racconta a parole una storia diversa. La storia di questa Regione è una storia di disinteresse e di insofferenza rispetto ai diritti della comunità lgbtqia+, di misure negate e di rivendicazione continua di una idea di società che divide e discrimina. Negare il sostegno perché si interpreta il Pride come semplice ostentazione, può essere un alibi pericoloso". Paola Pizzighini dei Cinque stelle si dice allibita per le parole ostili che oggi sono circolate in Consiglio regionale da parte della maggioranza. La discriminazione è palpabile quindi nessuna fascia istituzionale parteciperà al Pride 2023, questa maggioranza è riuscita, incredibilmente, a rinnegare l'atto dello scorso anno, a questo punto meglio che quella fascia rimanga nel cassetto". C'è aria palpabile di cambiamento, insomma, un cambiamento che dà ragione al Parlamento dell'Unione Europea che il 20 aprile 2023, durante la sessione plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo ha approvato un emendamento dei Verdi che "condanna fermamente la diffusione di retorica anti-diritti, anti-gender e anti-Lgbtiq da parte di alcuni influenti leader politici e governi nell’Ue, come nel caso di Ungheria, Polonia e Italia". Ci stiamo, insomma, sempre più allineando alle posizioni retrograde di paesi dove la discriminazione e la negazione dei diritti civili sono legge.