Un mese fa sedeva tra i banchi di Westminster Abbey per l'incoronazione del padre, ieri all'Alta Corte di Londra per deporre la sua storica testimonianza nella causa che lo vede contro il Mirror Group Newspapers, il gruppo editoriale del Mirror, accusato di presunte intercettazioni illegali ai danni del duca di Sussex. È lo strano destino del principe Harry, diviso com'è tra un mondo in cui è cresciuto, ma da cui avverte di essere stato ripudiato, Buckingham Palace, e un altro, Hollywood, dove ha scelto di vivere ma a cui in fondo non si sente di appartenere. Nel fare la spola tra Stati Uniti e Inghilterra, il duca di Sussex si è trovato nel giro di poche settimane a sostenere la monarchia e, al contempo, ad adire in tribunale dove la giustizia è amministrata in nome del re e gli avvocati si fregiano del titolo di "Consiglieri del Re".

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Harry ha testimoniato a Londra nel processo contro il Mirror.
Chris Jackson//Getty Images

Una situazione surreale, che l'ultima volta si era verificata oltre 130 anni fa. Era il 1890 e a sedere sul banco dei testimoni era l'allora principe di Galles, futuro re Edoardo VII, il figlio erede della regina Vittoria, investito da uno scandalo di sesso e gioco d’azzardo. Governò per appena 9 anni, a fronte dei 64 anni della madre, e il processo gettò discredito sull'intera famiglia reale. Da allora non era più capitato che un membro della royal family sedesse in tribunale. Ma per Harry la crociata contro la stampa è troppo importante per rinunciarvi, convinto com'è che i tabloid gli abbiano rovinato la vita, causando prima la morte della madre Diana e poi portando avanti una sorta di persecuzione nei confronti dello spare, la ruota di scorta sacrificabile a tutela del buon nome dell'erede.

È proprio su questo punto che insisterà l'accusa, che nella memoria redatta dai legali del principe sostiene che il giornale britannico abbia hackerato il cellulare del figlio del re per intercettare i suoi messaggi vocali, oltre ad essere ricorso ad altri mezzi illegali per raccogliere informazioni su Harry, nel periodo compreso fra il 1995 e il 2011. Gli avvocati parlano di attività "sospette" sul cellulare, comprese chiamate perse o riagganci, da numeri che il principe non riconosceva o che erano nascosti. Si fa cenno anche a messaggi visualizzati nella sua casella di posta in arrivo ma non elencati come nuovi messaggi perché già aperti da persone terze, tutte illazioni che per il momento non trovano riscontro nei tabulati telefonici anche perché riferiti a molti anni fa e di cui lo stesso duca di Sussex non ha esatta memoria.

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Harry è convinto che la stampa abbia portato alla morte la madre Diana.
Anwar Hussein//Getty Images

Proprio questa indeterminatezza rischia di essere un'arma a doppio taglio per Harry, che ieri in aula, nelle cinque ore di deposizione, è apparso confuso e agitato. Gli avvocati della difesa non gli hanno risparmiato domande incalzanti e strettamente personali, a cui ha risposto con accuse generiche, parlando di comportamento "assolutamente vile" e "criminale" della stampa. "Le loro azioni hanno influenzato ogni area della mia vita", causando "attacchi di depressione e paranoia". Lo stesso processo lo costringe a "rivivere un periodo orribile della mia vita". "Quanto altro sangue macchierà le loro dita prima che qualcuno possa porre fine a questa follia?" si chiede il principe Harry, che ha spesso denunciato attacchi personali da parte della stampa, abituata ad etichettare i membri della famiglia reale in un ruolo ben preciso: "Allora o sei il 'principe playboy' o il 'fallito'". "Nel mio caso, il 'thicko', il 'cheat', il 'bevitore minorenne', il 'tossicodipendente irresponsabile'".

Come già scritto nel suo memoir, Harry si sente investito del ruolo di modernizzatore: "Il lavoro della sua vita" è quello di "cambiare il panorama dei media britannici" spiega. Ma nel portare avanti questo compito, appare sempre più solo, abbandonato anche dalla moglie Meghan, che sta tentando con ogni mezzo di riacquistare popolarità. Chissà se un'ipotetica vittoria in tribunale lo libererà definitivamente dai suoi demoni.

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